Gastronomia

Gastronomia  è la storia della cucina nei secoli, l’evoluzione dell’arte culinaria che comprende la storia dell’uomo e delle sue gesta attraverso il cibo che consumava, l’interpretazione delle ricette della tradizione per la riproposizione di sapori antichi in chiave moderna, anticipando così gusti e mode culinarie.

La buona gastronomia è l’intersezione perfetta tra piacere, etica, memoria, salute. Deve saper raccontare una storia e un luogo, la sua gente e le radici, attraverso il cibo. Deve difendere la tradizione, i prodotti della terra e il paesaggio.   Deve promuovere l’identità, l’orgoglio e la diversità, geografica e culturale. E deve essere creativa: capace, cioè, di innovarsi e di esplorare.

La storia della cucina è un percorso strettamente legato agli avvenimenti che hanno scandito il comportamento umano nel corso dei secoli. Conoscere come è cambiato il modo di mangiare dell’uomo è una fase molto importante della formazione di un cuoco professionista.
La preistoria
Fino al 10.000 a.C. l’uomo era poco più di un predatore: viveva cacciando animali, pescando pesci e raccogliendo frutti dagli alberi e radici dal terreno. Parlare di “cucina” nel senso stretto della parola, durante il Paleolitico o il Mesolitico, si può defi nire decisamente azzardato.
Le prime pratiche gastronomiche apparvero con l’arrivo del Neolitico circa 10.000 anni fa quando, da nomade, l’uomo divenne stanziale e cominciò a coltivare la terra e addomesticare glianimali. Nacquero così l’agricoltura e l’allevamento del bestiame, e conseguentemente comparvero i cereali (avena, miglio, farro, orzo, frumento) e i latticini.
L’uomo del Neolitico non conosceva ancora il pane, ma con l’avvento dei cereali raggiunse uno stadio di pre-panifi cazione, preparando semplici polente fatte di semi rozzamente frantumati ecotti in acqua riscaldata con pietre roventi. La scoperta della terracotta consentì poi la costruzione dei primi contenitori ermetici che potevano sopportare la fi amma viva. Da quel momento,imparare a bollire gli alimenti nell’acqua fu quasi immediato. Le prime zuppe della storia eranomolto simili ai nostri brodi attuali, a base di cereali, carni, vegetali, radici, legumi, insaporite conerbe profumate.
Gli Egizi
Durante la millenaria civiltà egizia avvenne una complessa evoluzione gastronomica, infl uenzata, soprattutto nei secoli fi nali, dai contatti sempre più frequenti con le civiltà ellenica e successivamente romana. Gli antichi Egizi furono un popolo ricco di cibo, grazie soprattutto al Nilo, il fi ume che con lesue piene regolari depositava il prezioso limo e consentiva così la coltivazione di molte varietà di piante e l’allevamento di diversi tipi di bestiame. Intorno al 1000 a.C. in Egitto si imparò a setacciare la farina di frumento, ottenendo in questo modo sfarinati più raffinati con i quali si produceva pane bianco destinato alle classi più ricche. Queste ultime erano le uniche che si potevano permettere il consumo delle carni bovine e ovine, mentre il popolo si doveva accontentare del pollame. Per quanto riguarda la cucina, sembra che le salse, gli umidi e gli intingoli fossero ancora sconosciuti. Le carni venivano per lo
più arrostite, ma sicuramente gli Egizi conoscevano la lessatura e la frittura (per quest’ultima usavano, oltre agli oli vegetali, il grasso d’oca e d’anatra). Erano forti consumatori di birra, ottenuta dalla fermentazione dell’orzo, del farro o dei datteri. Anche il vino era una bevanda conosciuta, preparata fermentando il mosto d’uva, di mele o di fichi.
I Greci
Nella Grecia antica (circa IX sec. a.C.) la cucina era ancora rozza, fatta di più portate preparate in modo comunque sbrigativo. Le carni erano considerate cibo per ricchi o soldati e venivano cotte essenzialmente alla brace o allo spiedo. I pesci e le verdure erano invece destinati ai contadini, i quali le accompagnavano con cereali, legumi, fichi freschi o essiccati. Molto praticata era la pastorizia e ben conosciuta era la tecnica di fabbricazione del formaggio, specie quello di capra, fatto anche stagionare. La coltivazione della vite era praticata già a Creta intorno al 2000 a.C. e, in base alle tecniche di vinifi cazione conosciute, i vini dovevano essere piuttosto corposi, con gradazioni elevate che raggiungevano anche i 18 gradi; venivano bevuti allungati con acqua e aromatizzati con erbe e resine o profumi.
Nell’età classica la diversifi cazione delle portate e la maggiore disponibilità degli alimenti denotarono l’avvento di una vera e propria arte gastronomica, appannaggio di cuochi professionisti ingaggiati a giornata o per brevi periodi da ricchi committenti. Le ricette di quell’epoca giunte fino a noi erano quasi tutte a base di pesce, e molto apprezzati divennero gli uccelli, la cacciagione e le lepri in particolare.
I Romani
Nella Roma arcaica (V e IV sec. a.C.) il modo di mangiare era piuttosto sobrio e frugale; durante il pranzo meridiano il piatto forte sembrava fosse solo del pane, senza companatico. Ma già nella Roma repubblicana troviamo abitudini alimentari più simili a quelle odierne: una prima colazione, lo ientaculum, a base di pane e vino, accompagnato da latte, uova, formaggi e frutti; il prandium di mezzogiorno, composto anche di pietanze calde; la cœna serale che rappresenta ilpasto principale.
In epoca imperiale il lusso e lo sfarzo del costume ebbero rifl essi particolarmente importantinella tavola. Nacque una spasmodica ricerca del raro, dell’appariscente, del perfezionismo, dello sbalorditivo e nei famosi banchetti di Lucullo, Apic
io, Trimalcione, oltre ai classici maiali, capretti, agnelli, pollame e cacciagione, fecero la loro comparsa animali strani come pavoni, pappagalli, fenicotteri, gru, ghiri e persino struzzi.
La carne bovina considerata di qualità scadente era destinata invece alla mensa più povera o plebea. Sempre importante il ruolo del pesce che rappresentava il cibo più ricercato e preferito.
Un posto importante nella mensa della Roma imperiale l’occupò il garum, un condimento usato frequentemente in moltissime preparazioni. Il garum (chiamato anche liquamen) era un liquido dal gusto difficilmente immaginabile, ottenuto facendo macerare per una notte dei cascami di pesce con sale, vino e aromi vari. Si trattava in pratica di un esaltatore di sapore impiegato come la salsa di soia nella cucina cinese o il concentrato da brodo nella nostra cucina.
Il vino era una bevanda consumata abitualmente al tempo della Roma imperiale. Al tempo di Plinio, agli albori dell’era cristiana, si conoscevano circa 80 vitigni e più di 200 tipi di vino: il Falerno della Campania, il Cecubo laziale, il Mamertino siculo erano tra i prodotti più noti, ma nella capitale si potevano degustare anche vini d’importazione spagnola o gallica
Il Medioevo
Con le invasioni barbariche scomparvero le coltivazioni di vite, di ulivo, quelle cerealicole e molte altre pratiche agronomiche. Di colpo sparirono spezie, salse, il noto garum romano, e il cuoco dell’Alto Medioevo ebbe a disposizione una minore varietà di alimenti per preparare le sue pietanze, in quantità limitata e solo in certi periodi dell’anno. Gli unici luoghi dove ancora era
possibile trovare coltivazioni agricole di un certo spessore erano i monasteri e le abbazie, dove i contadini potevano svolgere il loro lavoro in relativa tranquillità.
L’arrivo degli Arabi intorno all’anno 800 portò alcune importanti novità nel campo alimentare: dall’Oriente fu introdotto lo zucchero (dall’arabo sukkar), il riso, molte varietà d’agrumi, la palma e moltissimi tipi di spezie scomparse dopo la caduta dell’Impero Romano. Anche le Crociate, iniziate nel 1096, contribuirono a portare in Europa numerosi alimenti e insieme ad essi diverse tecniche per poterli conservare.
Nel Medioevo fece la sua comparsa il burro e migliorò notevolmente la tecnologia casearia. Si cominciarono a produrre
diverse tipologie di formaggi, alcuni dei quali molto apprezzati nelle nostra gastronomia attuale, come il “parmesan”
padano e il groviera svizzero.
Il Medioevo fu il periodo d’oro per il maiale: il consumo della sua carne divenne preponderante rispetto a quella bovina, anche perché quest’ultima non si prestava bene alla salatura e non poteva essere conservata a lungo. La dieta delle popolazioni rivierasche del nord Europa era invece più ricca di pesce, soprattutto di aringhe (in Olanda si scoprì il sistema per conservarle a lungo con salagione e affumicatura).
Con il notevole frazionamento politico dell’Italia si svilupparono pian piano usi e tradizioni gastronomiche molto differenti tra loro, che risentivano delle molteplici infl uenze straniere. Da qui nacquero nel Medioevo le prime cucine regionali, tra cui si
distinsero quella veneziana, più ricca di sapori orientali, e quella fi orentina, più schietta e legata ai prodotti locali.
Il Rinascimento
Il XVI secolo fu il periodo più fulgido del Rinascimento italiano, anche sotto il profi lo gastronomico e del comportamento a tavola. Comparvero per la prima volta sulla tavola la forchetta, il bicchiere individuale, gli stuzzicadenti, il tovagliolo e molti altri utensili vennero inventati per gli usi culinari: le rotelle tagliapasta, i setacci, i recipienti per stufare, gli spremilimoni e via dicendo. Nacque una vera e propria gerarchia di specialisti del servizio e delle preparazioni culinarie, preludio della più moderna brigata di cucina e di sala (scalchi o maggiordomi, trincianti, bottiglieri ecc.).
Con il matrimonio di Caterina de’ Medici con il futuro re di Francia Enrico II, il centro dell’attività gastronomica si spostò da
Firenze a Parigi. La nuova regina portò con sé un nutrito stuolo di cucinieri, pasticceri e altri professionisti che trovarono
in Francia il terreno più fertile per far diventare grande la cucina francese del Seicento e del Settecento.
Il Seicento
Il XVII secolo vide la nascita della cucina classica francese, codifi cata per primo dal cuoco professionista François Pierre de La Varenne nel suo libro Le Cuisinier François, del 1651. È qui che si parla per la prima volta dei “fondi” o basi di cucina, su cui imperniare la tecnica delle salse e l’abbinamento dei nuovi sapori; l’impiego su larga scala del cosiddetto bouquet garni
o mazzetto di odori.
Dalle tendenze rinascimentali italiane, nacque in Francia la passione per i legumi, soprattutto i piselli, considerati una vera “sciccheria”. Una grande novità si ebbe per gli aromi e i sapori delle preparazioni gastronomiche: venne quasi bandito l’uso del sale e così pure delle spezie; i sapori venivano dati prevalentemente dai fondi rosolati e dalle salse che da essi si ottenevano.
Anche la pasticceria conobbe un periodo di grande splendore e innovazione con la preparazione di pates e pasticci salati, gelatine, confetture e altri prodotti di confetteria. Verso la fi ne del Seicento si cominciò a impiegare il cacao d’importazione americana, il tè cinese e il caffè arabico, per preparare dessert e dolci di varia fattura (sfoglie, amaretti, cialde e i petits fours).
Anche nel campo delle bevande la Francia offrì notevoli spunti di novità, primo fra i quali la produzione di un vino spumante partendo da un vino di Champagne: nel 1688 Dom Perignon inventò il metodo champenoise per fare lo Champagne.
Il Settecento
Il Settecento è il secolo dei Lumi e della Rivoluzione Francese, e anche in gastronomia si avverte un forte movimento di trasformazione che precede e segue i fatti politici. In questo secolo nacque in Francia il formaggio Camembert , il paté di foie gras, le meringhe e il Cognac; si elaborarono i sughi di base (coulis), il biondo di vitello per le salse brune, le mirepoix e le
brumoises di carote, cipolle, sedano e altre verdure; si perfezionarono i rosolati, la salsa spagnola e le glasse; nasce la salsa maionese.
Nel Settecento si affinarono anche i sistemi di regolazione della fi amma delle cucine e questo consentì di poter effettuare più cotture separate contemporaneamente. Questo particolare tecnico rappresentò un grande passo in avanti nella formulazione delle ricette, in quanto permetteva di elaborare dei piatti realizzati abbinando delle preparazioni cotte separatamente in modo
diverso.
La grande cucina francese dell’Ottocento
Sull’onda della Rivoluzione Francese e della successiva Restaurazione, la Francia rivestì il ruolo principale sulla scena gastronomica europea e internazionale. Il suo maggior interprete fu certamente Marie-Antoine Carême, il cuoco che al servizio di numerose casate europee seppe dare impulso e inventiva all’arte culinari a al punto da farla diventare argomento di discussioni filosofiche. La sua opera più vasta (ben 5 volumi) fu L’art de la cuisine française au XIX siècle : una panoramica completa dell’alta gastronomia internazionale di codifi cazione francese. Molti discepoli di Carême continuarono ad arricchire la cultura gastronomica francese seguendo le orme del maestro, ed esportando in tutta Europa e oltre oceano la grande cucina francese.La maggiore disponibilità di prodotti, dovuta al miglioramento delle colture agricole, nonché all’ampliarsi dei mercati e alla rivoluzione dei trasporti, è la caratteristica principale dell’alimentazione dell’Ottocento.
Due piante rivestono una notevole importanza alimentare in questo secolo: la patata, che permise di risolvere i problemi alimentari di popolazioni tradizionalmente povere come gli irlandesi e i tedeschi, e la barbabietola da zucchero, la cui coltivazione, stimolata da Napoleone I, fi nì per soddisfare i bisogni di zucchero degli europei, incrementando notevolmente l’arte pasticcera. Verso la fi ne del secolo, in Francia nacque la margarina, un nuovo tipo di grasso inventato da un abate francese, che costituisce oggi uno dei grassi di condimento più consumati a livello mondiale. Sempre a proposito dei grassi di
condimento è bene ricordare che nell’Ottocento, mosse i primi passi l’industria degli oli di semi, ricavati utilizzando soprattutto la palma e l’arachide.
La nascita della ristorazione moderna
Verso la fine del XIX secolo avvenne la grande trasformazione nel mondo della gastronomia: nasce la ristorazione moderna.
L’incontro di Auguste Escoffier, genio della cucina, con Cesar Ritz, mago dell’imprenditoria, segnò il decollo di imprese colossali nel campo della ristorazione. Alberghi, treni lussuosi, transatlantici cominciarono a diventare elementi fondamentali di un fenomeno nuovo che nasce a livello mondiale: il turismo. Ritz affrontò il problema imprenditoriale aprendo grandi alberghi di lusso in ogni parte d’Europa, ed Escoffier si incaricò di installare e istruire al meglio il settore della ristorazione, perno fondamentale di queste strutture. Organizzò il personale di cucina in “brigate”, impostazione ancora attuale nella moderna ristorazione.Dal punto di vista prettamente gastronomico, Escoffier cercò di presentare gli alimenti col proprio aspetto originale, abbellito semplicemente dal contorno e reso gradevole dal colore appetitoso di una salsa o da effetti policromici ricavati da ingredienti naturali e commestibili.
Il Novecento
Il XX secolo, sia per i grandi mutamenti storici sia per l’elevato sviluppo tecnologico e scientifi co, ha profondamente trasformato la società, con imprevedibili rifl essi su ogni attività umana, compresa quella gastronomica. Con l’avvento dell’automobile cambia anche il turista medio, interpretato dalla borghesia media, che utilizza mezzi maneggevoli per spostarsi. Nel 1900 esce la prima Guida Michelin, una pubblicazione nata in Francia, dedicata ai “gastronomadi” (gli automobilisti-gastronomi), allo scopo di illustrare le caratteristiche di tutti i ristoranti di qualità presenti sul territorio.Seppur limitato, anche in Italia vi fu nel primo quarto di secolo un certo fermento gastronomico, testimoniato dalle diverse pubblicazioni di quel periodo. Nel 1909 si pubblicò La nuova cucina delle specialità regionali dove per la prima volta si riportarono ricette di tutte le regioni italiane, comprese i piatti poveri come la “panzanella”.
La cucina nel regime fascista
Il ventennio fascista a cavallo tra le due guerre mondiali instaurò in Italia uno stile di vita basato sulla frugalità, sulla semplicità e sull’autonomia dalle servitù straniere. A prescindere dal fenomeno della cucina futurista, si verifi cò un certo appiattimento della cucina nazionale, chiusa nei suoi regionalismi e piuttosto sobria e aliena da ogni frivolezza e lusso di sorta. Tuttavia, nel 1929 l’editore Umberto Notari pubblicò il primo numero de La Cucina Italiana, un periodico che aveva come proposito quello di considerare la buona tavola non solo come utilizzazione di ricette, ma anche come fatto sociale.
La cucina contemporanea
Gli anni del boom economico postbellico (1950-1960) portarono in ogni casa il frigorifero, il forno, la cucina a gas, gli elettrodomestici multiuso, e di conseguenza si modifi cò profondamente il modo di cucinare. L’entrata della donna nel mondo del lavoro ha poi sconvolto i ritmi della vita familiare, col risultato di avere sempre meno tempo da dedicare alla cucina. Ecco quindi che il modo di mangiare subisce un cambiamento, diventando più rapido, e fanno la loro comparsa cibi che prima erano considerati troppo costosi e poco “gastronomici”, come la fettina di bovino o il petto di pollo ai ferri.
Nel contempo scompaiono dalla cucina alcuni piatti considerati “prebellici” e di lunga preparazione, quali la polenta, i legumi, le frattaglie e alcuni ortaggi (rape, verze, cavoli ecc.).
Con gli anni ‘70 si delineano tre filoni gastronomici paralleli: la riscoperta delle tradizioni regionali, con un rilancio dell’artigianato alimentare locale, legato soprattutto all’incredibile aumento del turismo di massa e al conseguente incremento dei festival gastronomici e delle sagre paesane; l’adozione di modelli di cucina rapida, sana e attenta alla dietetica, che utilizza sistemi di cottura pseudo-innovativi, come la cottura al vapore, o apparecchiature di nuova concezione (forno a microonde, cottura sottovuoto ecc.); la Nouvelle Cuisine francese, opportunamente riadattata ai gusti italiani.