Festa del papàSaperi e Sapori

Festa del papà: storia e gastronomia

In Italia la festa del papà ricorre il 19 marzo perché legata alla figura paterna di San Giuseppe, padre putativo di Gesù.  Il culto di san Giuseppe ha avuto inizio nel 1030 ad opera di alcuni monaci benedettini seguiti, nel 1324, dai Servi di Maria e, nel 1399, dai francescani. Nel 1479 Papa Sisto IV,  la data fu iscritta nel calendario romano. La festa di marzo sarà poi estesa a tutta la Chiesa, a  partire dal 1621 con Gregorio XV. Nel 1871 San Giuseppe fu proclamato dalla Chiesa cattolica protettore dei padri di famiglia e patrono della Chiesa. Dal 1968 al 1976, in Italia, il 19 marzo è stata una data festiva agli effetti civili. resse come quella di San Giuseppe.

La maggior parte dei paesi nel mondo segue la tradizione statunitense, la festa del papà è nella terza domenica di giugno. La scelta risale al 19 giugno 1910, allorquando la giovane Sonora Smart Dodd organizzò, nella piccola città di Fairmont della Virginia Occidentale, una festa per il compleanno di suo padre, un veterano della Guerra di Secessione. Quella fu la prima di una crescente  tradizione di feste di onore del papà che le famiglie statunitensi s’avviarono a celebrare. Nel 1924 il presidente degli Stati Uniti, Calvin Coolidge, propose che la festa del papà diventasse nazionale. La decisione divenne ufficiale nel 1966 quando il presidente Lyndon Johnson firmò il documento che istituiva la terza domenica di giugno festa nazionale del papà.
In altri Paesi, la festa del papà si celebra a seconda del significato che le è dato in base alla tradizione locale: ad esempio, la Thailandia lo celebra il 5 dicembre, data di nascita del sovrano Rama XI, scomparso nel 2016 e considerato il padre della nazione.

Ritornando in Italia, la festa del 19 marzo è caratterizzata anche da due tipiche manifestazioni, che si ritrovano un po’ in tutte le regioni d’Italia: i falò e le zeppole. Dato che san Giuseppe coincide con la fine dell’inverno, la festa si è sovrapposta ai riti di purificazione agraria. Il falò segna il passaggio dall’inverno alla primavera: in molte regioni viene bruciato un fantoccio, la «vecchia». La zeppola è legata a San Giuseppe perché, secondo una leggenda, quando fuggì in Egitto con Gesù e Maria, per mantenere la famiglia si industriò a vendere frittelle, chiamate oggi zeppole.

Ed in Campania il 19 marzo non è festa del papà senza un ricco e gustoso vassoi di zeppole di San Giuseppe. Ma ogni regione ha la sua tipicità gastronomica per la ricorrenza di San Giuseppe. Sicilia, Calabria e Lazio per la festa del papà si rifanno alla tradizione contadina e propongono come tipicità per la giornata pasta e ceci, un piatto classico con ceci, cipolla, rosmarino, qualche pomodoro pelato, olio, sale e pasta corta.
Altra tipicità del Sud Italia sono i carciofi con il tappo, ovvero ripieni (con uva passa, pinoli, aglio, cipolla, pecorino, pane grattugiato), oppure le polpettine con i cardi e il baccalà fritto con pastella.
Ma la varietà dei dolci frutto della ricca cultura gastronomica italiana rende più golosa ed indimenticabile la festa. In Sicilia trionfano gli sfinci di San Giuseppe, fatti con una pasta fritta nello strutto e ricoperta di ricotta di pecora, canditi e pezzetti di cioccolato.  A Roma troviamo i maritozzi, dei piccoli panini che si ottengono con farina, uova, burro, miele e sale e poi farciti con panna montata che fuoriesce gustosa. In Lombardia ci sono i tortelli di San Giuseppe, nella doppia variante di farciti con crema o meno. Sfere fatte con farina, uova, latte, lievito di birra e poi fritte e cosparse di zucchero. In Emilia Romagna, le raviole di San Giuseppe, simili per forma ai ravioli salati, sono ripiene di marmellata (quasi sempre di prugne o di mele cotogne, ma per i più golosi anche con crema al cioccolato) e sono cotte al forno.

La tradizione culinaria salentina per giorno di San Giuseppe imbandisce le cosiddette “tavole di San Giuseppe”,  banchetti realizzati con diverse pietanze che vanno dai lampascioni alle “rape”, dai “vermiceddhri” (tipo di pasta con cavoli) al pesce fritto, dalle pittule alla zeppola, dal pane a forma di grossa ciambella ai finocchi e alle arance. Il tutto viene consumato a mezzogiorno del 19 marzo dai cosiddetti “santi” impersonati da amici o parenti delle famiglie che vanno da un numero minimo di tre (San Giuseppe, Gesù Bambino e la Madonna) a un numero massimo di tredici, sempre comunque di numero dispari.

Anche nel Molise il 19 di marzo si ripete la “Tavola di San Giuseppe” una delle più antiche tradizioni legate al cibo e, naturalmente, all’olio che sposa le varie pietanze e le lega per ben 13 volte, quant’è il numero delle portate ed anche quello dei commensali che siedono intorno alla tavola dove vale la regola del silenzio fino al saluto finale.

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