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Menestra mmaritata, detta pure Pignato – Storia

O pignato è una zuppa di cicoria, scarola liscia e riccia, borragione a altre erbe varie cotte con carni miste.

Ma tra “minestra maritata” e “pignato” vi è una differenza, la prima è una pietanza più elaborata rispetto alla seconda. Nel pignato si utilizzano meno verdure e solo carni suine, ad esempio la pezzentella, ovvero la salsiccia di scarti suini.

L’origine di questo piatto è dubbio, qualcuno lo fa discendere dal “Olla Potrida” spagnola, mentre qualcun’altro lo fa risalire alla cucina romana accostandolo alla zuppa di “piselli maritati”, cioè piselli e carni varie. Di certo a Napoli nel XVI secolo il pignato era una pietanza nota, lo certifica Giordano Bruno ne “Il Candelaio”.

In “La Vaiasseide”, pubblicazione del 1628 curata da Bartolomeo Zito, vi è la descrizione del pignato grasso: «Si piglia una pignatta grande, e dentro si mette un buon pezzo di carne di giovenca grassa, indi un cappone imbottito e una gallina casereccia, poi un salsiccione della Costa, quattro capi di salsicce cervellate, un pezzo di cacio nostrale, ossa mastre, spezie e cotte che siano tutte queste cose, si aggiunga una bella affetta di torsoli e foglie scelte nelle più tenere cime e si lascino bollire soavemente».

Antonio Latini, nel 1692, descrive in “Lo scalco alla moderna” la preparazione di un misto di carni e verdure  divenuto, poi, nel corso dei secoli, l’emblema della tavola partenopea, con il suo sapore semplice, ma ricercato.
« Si piglia una gallina e si mette a bollire insieme con la vacca, quando questa sarà più che mezza cotta, accioché la gallina non si disfaccia; e vi si mettono dentro lingue salate di porco, ma bollite, carne salata che prima sia stata a mollo, una soppressata, un pezzo di filetto, un pezzo di ventresca di porco, ossa mastre, annoglio, un pezzo di lardo battuto con il suo sale, a proporzione; e quando saranno le sopradette robbe cotte, metterai il brodo che raccoglierai dentro un tegame, tagliando le sopradette robbe in fette e la gallina ancora o cappone; tenendo ogni cosa da parte, metterai nel brodo un terzo della sudetta robba tagliata, e poi v’aggiungerai torzi ripieni, cocuzze e cipolle parimenti ripiene di vitella battuta con rossi d’ova, un poco di mollica di pane ammollato nel brodo, passarina, pignoli, a suo tempo, acini d’agresta e il pastume che avrai fatto servirà per riempire tutte le sopradette robbe, con le solite spezierie ed erbette odorifere. Vi potrai anche aggiungere la lattuga o la scarola ripiena; l’altra carne che sarà restata, l’anderai accomodando con ordine dentro il tegame o in un altro vaso, framezzata con fettarelle di fianchetto ripieno, con zizza  prima bollita, salsiccia spaccata per metà; levatele la sua pelle, fette sottili di cascio parmiggiano grattato, fonghi di Genova, prima dissalati e bolliti con ossa mastre, avvertendo che sia il brodo buono, che sarà una minestra di buon gusto …  »

Nel 1852, invece, il Cavalcanti propone la sua ricetta in napoletano vernacolare: «Miette a bollere dint’a na marmitta doje rotola de carne de vacca, na bella gallina, no rotolo nfra verrinia, prosutto e buccularo de puorco, scummaraje,  e po miette miezo ruotolo de lardo pesato, quanno tutta la carne s’è cotta, nne la lieve e la miette dint’a nauto commodo co acqua cauda pe farla sta ncaudo; po passa lo brodo dint’a la marmitta, e quanno volle, nge miette na bella menesta de cappucce, torzelle, na scarolella, e no poco de vasenicola; la farraje cocere bona, e po mme sapraje a dicere che menesta acconcia stommaco, che te magne.»

A Napoli la minestra fu piatto principale della domenica fino all’avvento della pasta. Comunque sia, il piatto di “menesta mmaritata” o “pignato” non ha mai perso un posto di riguardo sulla tavola campana, in particolare su quella irpina, con le sue numerose varianti. Tra quelle più gustose, vanno menzionate la minestra alla maniera di Lioni e quella di Calabritto.

 

 

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