Ricettesalse e sughi

Salsa di rafano

Le salse sono utilizzate per insaporire bolliti e arrosti, aumentandone gusto e sapore. Molto apprezzata è quella al rafano da chi ama i gusti forti. Da tempo è presente nella tradizione culinaria di varie regioni italiane. Il rafano è una radice che cresce spontanea nella zona dell’Appennino Tosco-Romagnolo, in Lazio e Basilicata.  Per le sue proprietà depurative e antimicrobiche, il rafano stimola la digestione, esercita una funzione protettiva sull’intestino ed aiuta a in caso di influenza, raffreddore e tosse.

Ingredienti
200 gr radice di Rafano – 8 cucchiai aceto di vino bianco – 1 cucchiaio olio d’oliva – sale.

Preparazione
Lavare e sbucciare la radice di rafano. Grattugiarla molto finemente in una ciotola e amalgamarla bene con aceto, sale e olio.
Far riposare la salsa in luogo fresco prima di servirla.

Diverse possono essere le varianti regionali, fra queste si consiglia di realizzare quella dove si agli ingredienti si aggiunge una mela annurca grattugiata.
Grattugiare un pezzetto di radice di rafano lavato e sbucciato. Successivamente grattugiare una mela acidula e croccante come la mela annurca, aggiungere una presa di sale, un cucchiaio di zucchero e 2-3 cucchiai di aceto di vino bianco.
Mescolare e servire con carni arrostite o alla griglia.

 

Un pò di curiosità sul Rafano

Benché con il nome di rafano vengono genericamente indicate le radici commestibili di varie piante erbacea perenni, la Grande Enciclopedia della Gastronomia ritiene che attualmente in Italia questo termine serva per indicare solo il ramolaccio dalle radici bianche e il ravanello dalle radici rosse, ambedue varietà della specie “raphanus raphanistrum”, risultando perciò improprio estendere il nome di rafano alla barbaforte.
Discoride parlava di due specie, una coltivata ed una selvatica, chiamate genericamente in greco “rafanos”.
Già Plinio, che per la varietà selvatica utilizza il termine latino “armoracia”, dalla quale si è giunti all’attuale ramolaccio, ne ricorda le qualità afrodisiache: “Democrito ritiene che mangiare il rafano stimoli il desiderio sessuale…”.
Per il sapore piccante il rafano venne classificato caldo da tutti i medici antichi, ma la sua fama di corroborante sessuale era sopratutto legata all’aspetto vagamente fallico. La radice, anche per il suo potere urticante, era utilizzata per punire gli adulteri nella “raphanidosis”, sorta di sodomizzazione.
Dalle testimonianze del Mattioli sembra che nel Cinquecento si facesse grande consumo di ramolacci a Roma, mentre a Napoli i rafani non veniva mangiati dal popolo perché identificati come cibo dei dominatori spagnoli. A conferma di quest’ultima tesi c’è ancora l’uso nella città partenopea del soprannome di “ravanello” dato ad un individuo borioso e inconsistente.
Nel Settecento il rafano divenne una pianta di largo consumo per le sue qualità curative: diuretiche, antibiotiche e digestive. Inoltre a quel tempo, quando le navi da guerra restavano in mare per diversi mesi, l’alimentazione dei marinai basata su carne salata e gallette veniva integrata, per evitare la malattia dello scorbuto, imbarcando barili di succo di rafano, nasturzio e senape miscelati con spirito di vino.
Durante la prima metà dell’Ottocento al rafano vennero anche riconosciute forti virtù stimolanti, tanto da essere consigliato per restituire energie a chi aveva l’organismo debilitato.
Nella seconda metà dello stesso secolo sia il rafano che il ramolaccio furono inseriti tra i cibi afrodisiaci, ed ancora oggi la tradizione popolare ripone grande fiducia nei poteri eccitanti di questa radice.
In cucina il sapore piccante del rafano, fresco o conservato sottolio o sottaceto, è particolarmente apprezzato nell’Europa centro-settentrionale per accompagnare i bolliti, pur adattandosi a insaporire qualunque piatto, stimolando la digestione ed esercitando una funzione protettiva sull’intestino.

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