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Pastiera napoletana

La pastiera napoletana è uno squisito e tradizionale dolce famoso in tutto il mondo. Legenda vuole che sia stata la sirena Partenope a creare tale delizia, amalgamando tre migliori frutti della terra vesuviana: il grano, simbolo di ricchezza, le uova, emblema di vita, la ricotta ovina, immagine di abbondanza del gregge.

La ricetta della pastiera, come quelle di altri dolci, è stata custodita e perfezionata all’interno degli ordini conventuali. Nel ‘700, le suore di S. Gregorio Armeno avrebbero canonizzato la versione attuale della ricetta, facendone un simbolo che le famiglie benestanti di Napoli ritenevano indispensabile per festeggiare la Pasqua.
Assaggiare la pastiera è come mangiare Napoli: sapori, colori, speranze, sole sono riuniti in un’alchimia che si narra riuscì a far sorridere al piacere del suo assaggio anche l’austera Maria Carolina d’Asburgo, consorte di Ferdinando II.
Pur se la si trova in ogni periodo dell’anno, a Napoli la pastiera è il dolce della Pasqua, quando sin dall’epoca di Costantino i primi cristiani usavano confezionare focacce da scambiare durante la festa.

L’ingrediente principale è il grano che va tenuto a bagno per vari giorni, prima di essere cotto. Spesso è sostituito dall’orzo che non presenta problemi di cottura e permette una più rapida esecuzione. Difatti l’orzo va messo al bagno la sera prima e farlo lessare poi nel latte mescolando spesso. Il grano, invece, ha bisogno di rimanere a bagno in acqua per più giorni e l’acqua va cambiata quotidianamente.

Ingredienti: 500g di pasta frolla – 500g di grano ammollato – 250ml di latte – 1 arancia – Cannella – Baccello di vaniglia – 500g di ricotta – 5 uova – 260g di zucchero – 100g di frutta candita – 3 cucchiai di acqua di fiori d’arancio – zucchero a velo

Preparazione
Mettere in una casseruola il grano con il latte, la scorza dell’arancio, il burro, lo zucchero e la vaniglia. Portare a ebollizione e lasciar cuocere dolcemente finché il latte sarà completamente assorbito. Togliere la scorza e lasciare raffreddare. Amalgamare la ricotta con lo zucchero, i tuorli, l’acqua di fiori d’arancio, la cannella, i canditi, il grano e per ultimi gli albumi montati a neve. Stendere la pasta frolla, foderare una tortiera e versarvi il composto.
Ricoprire il ripieno con strisce di pasta frolla disposte a griglia.
Passare nel forno ben caldo, lasciar raffreddare e sformare.
Servire la pastiera cosparsa di abbondante zucchero a velo.

Curiosità storiche sulla pastiera napoletana

A quanto detto sopra sulle origini della pastiera, va menzionata il legame del dolce tipico napoletano con la storia urbanistica di Napoli.
La decorazione a “grata” di pastafrolla sulla pastiera, in numero di sette strisce complessive (quattro in un senso e tre nel senso trasversale), a croce greca, formano la “planimetria” di Neapolis così come ancora oggi si presenta con i tre Decumani e con i Cardini che li attraversano in senso trasversale; rappresentando così, in maniera simbolica, l’offerta alla Sirena Parthenope e agli Dei, dell’intera Città stessa, come sublime e collettivo atto di devozione.
Molto probabilmente la pastiera era un dolce sacrificale che veniva offerta alla Sirena Parthenope ed un’antica leggenda, il cui ricordo è ancora vivo, racconta che: Parthenope, ad ogni Primavera si manifestava al popolo di Neapolis e lo allietava con la sua voce incantatrice, con canti d’amore e di gioia di vivere!
Una volta il canto della Sirena fu così soave e generoso di emozioni che i Neapolitani la vollero ringraziare per questo prezioso dono, offrendole quanto di più prezioso essi possedevano.
Sette fra le più belle giovani della Città, in rappresentanza delle sette principali “fratrie”, ebbero l’incarico di portare i doni alla bellissima Parthenope:
1) la farina, a simboleggiare la forza e l’abbondanza della campagna;
2) la ricotta, omaggio dei pastori e delle pecore che pascolavano libere nei campi;
3) le uova, simbolo di vita che sempre si rinnova;
4) il grano tenero, bollito nel latte come simbolo dorato della vita germogliante e rafforzato dal primo alimento della vita;
5) l’acqua di fiori d’arancio, come l’omaggio più profumato della Terra;
6) le spezie, come omaggio dei popoli più diversi che a Neapolis sempre trovano accoglienza;
7) lo zucchero, per esprimere la dolcezza che il canto di
Parthenope racchiude e che dona all’Universo.
La Sirena Parthenope, felice di questi doni li portò al cospetto degli Dei per mostrare loro la Generosità e l’Amore del popolo napoletano e questi, inebriati essi stessi dal canto soave della Sirena, mescolarono i doni e crearono la Pastiera!
Un dono divino che solo Napoli, da quel tempo lontano e per sempre nei secoli avvenire, ha il privilegio di riprodurre e di condividere anche con il Mondo intero!
In epoca greco-romana la Pastiera era, dunque, l’offerta sacrificale simbolo di rinascita primaverile, che le sacerdotesse di Cerere, durante i riti primaverili, portavano in processione insieme alle uova ed a fasci di grano, tutti simboli di vita nascente.
(Percorrendo Via San Gregorio Armeno, sul lato destro salendo la strada, affianco ad una delle famose botteghe artigiane, un attento osservatore noterà, inglobato in un muro perimetrale, un blocco marmoreo raffigurante proprio una sacerdotessa di Cerere recante in mano un fascio di grano e che faceva parte di un più esteso bassorilievo rappresentante la processione rituale)
Poi una “riscoperta” di questo classico dolce pasquale, si dice dovuto alle suore di San Gregorio Armeno che nel loro monastero, fondato nello stesso luogo dove sorse il Tempio di Cerere, ricrearono la pastiera con gli attuali ingredienti: farina, ricotta, grano, uova, l’acqua di mille fiori (in origine fatto solo con le essenze delle arance coltivate nel giardino del monastero), il cedro e le spezie aromatiche che esse portarono dal lontano Oriente, dal quale fuggirono a seguito delle persecuzioni religiose.
Sempre sette, dunque gli ingredienti, come nell’antica Neapolis e sette, pertanto, le striscioline di pasta frolla che dovrebbero essere poste sulla pastiera classica ed originale per completare e conservarne l’antico aspetto simbolico sacrale.
E’ nel sec. XVI, con l’ampliamento della Città al di fuori delle antiche mura perimetrali delle origini che queste strisce di pastafrolla che decorano la parte superiore della pastiera, cambiano la combinazione geometrica (da croce greca) assumendo la caratteristica disposizione obliqua con la divisione dello spazio superficiale per rombi, espressione più tipica dell’epoca barocca e che oggi è la decorazione ampliamente più diffusa e che arriva a “superare” il canonico e sacro numero sette delle origini.

A Napule regnava Ferdinando
Ca passava e’ jurnate zompettiando;
Mentr’ invece a’ mugliera, ‘Onna Teresa,
Steva sempe arraggiata. A’ faccia appesa
O’ musso luongo, nun redeva maje,
Comm’avess passate tanta guaje.
Nù bellu juorno Amelia, a’ cammeriera
Le dicette: “Maestà, chest’è a’ Pastiera.
Piace e’ femmene, all’uommene e e’creature:
Uova, ricotta, grano, e acqua re ciure,
‘Mpastata insieme o’ zucchero e a’ farina
A può purtà nnanz o’Rre: e pur’ a Rigina”.
Maria Teresa facett a’ faccia brutta:
Mastecanno, riceva: “E’ o’Paraviso!”
E le scappava pure o’ pizz’a riso.
Allora o’ Rre dicette: “E che marina!
Pe fa ridere a tte, ce vò a Pastiera?
Moglie mia, vien’accà, damme n’abbraccio!
Chistu dolce te piace? E mò c’o saccio
Ordino al cuoco che, a partir d’adesso,
Stà Pastiera la faccia un pò più spesso.
Nun solo a Pasca, che altrimenti è un danno;
pe te fà ridere adda passà n’at’ anno!”

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